CAPENA: UNA PISTA SICILIANA PER LE ORIGINI DELLA PROCESSIONE DELL’INCONTRO

Si premettono indicazioni generali, tratte dalla guida di AA.VV. “Capena – “La Storia””, Assessorato alla Cultura del Comune di Capena e Associazione Pro Loco di Capena, s.d., ma 1998. Nel capitolo intitolato “Feste” (ivi, pagg. 43-47) e, in particolare, nel paragrafo “S. Maria Assunta” (ivi, pagg. 44-45), si legge: “E’ la festa principale del paese ed è celebrata tra il 13 e il 15 agosto. E’ imperniata sulle due famose tavole rappresentanti la Madonna e il Salvatore Benedicente, montate su due pesanti macchine […] La processione a Capena si basa sulla credenza popolare che la Madonna abbia perso il Figlio e per tre giorni lo cerchi disperatamente, sinché lo ritrova e gli corre incontro. La notte del 13, ad ora inoltrata, in una atmosfera molto suggestiva, otto uomini portano il baldacchino con l’immagine del SS. Salvatore dalla chiesetta della Madonna delle Grazie fino al portone dell’ex palazzo abbaziale, ove viene lasciato per tutta la notte e per il giorno seguente, allorché è meta di fedeli che, capenati o provenienti da paesi vicini, si recano a venerare l’icona. La notte del 14 agosto due processioni partono dai capi opposti del paese, l’una accompagnando il baldacchino con la bellissima effigie della Madonna delle Grazie, l’altra con il baldacchino del SS. Salvatore. Quando in via IV Novembre la processione del Salvatore arriva in vista di quella della Madre, gli “incollatori” dell’una e dell’altra macchina, vestiti di un particolare saio bianco ornato con una mantellina celeste per coloro che portano la Madonna e rossa per coloro che portano il Salvatore, si slanciano di corsa quasi avessero le ali ai piedi, finché s’incontrano all’altezza della prima rampa della scalinata che porta alla chiesa di Sant’Antonio e si scambiano un bacio in segno di fratellanza. Quindi i due Santi sono portati alla chiesetta della Madonna delle Grazie, ove conviene tutta la gente che ha partecipato alla processione. In antico, i portatori dell’immagine della Vergine erano i confratelli di S. Antonio e del SS. Crocifisso, mentre i confratelli del SS. Sacramento portavano l’immagine del SS. Salvatore. Il giorno dopo, le due “macchine”, ancora processionalmente, sono portate a piazza del Popolo, dove il parroco impartisce la benedizione alle icone e a tutti i Capenati”.    

Ciò premesso, si deve anzitutto prendere in considerazione il primo documento scritto nel quale è menzionata la “Processione dell’Incontro” per Leprignano: si tratta delle “Capitolazioni per la Venerabile Confraternita del Santissimo Crocifisso della Terra di Leprignano dedicate da i fratelli della medesima Confraternita all’Illustrissimo e Reverendissimo P: D: Gregorio Fioravanti Abate del Monastero di San Paolo di Roma e delle Terre di Nazzano Civitella e Leprignano Ordinario e Padrone”, dette anche “Ordini e capitolazioni da osservarsi da i fratelli della Venerabile Compagnia di S. Antonio Abate novamente eretta nella Terra di Leprignano dall’Illustrissimo e Reverendissimo P: D: Gregorio Fioravanti Abate di San Paolo fuor delle mure di Roma nel anno 1752 sotto il titolo del Santissimo Crocifisso, di Maria Vergine Assunta in cielo e del medemo S: Antonio” (cfr. “Spigolature capenati”, Roma 2003, pagg. 140-141 e nota 21 a pag. 162), nelle quali si legge che “per antica consuetudine” a Leprignano si osserva “l’uso dell’incontro della nostra Compagnia con quella del Santissimo Sagramento, nella vigilia dell’Assunzione di Maria Vergine vicino alla nostra chiesa con le due machine”, l’una della Beatissima Vergine portata dalla confraternita di Sant’Antonio e l’altra del Santissimo Salvatore portata dalla confraternita del Santissimo Sacramento (ivi, pag. 141). La datazione di tali “Capitolazioni” (ossia dello Statuto della Confraternita del SS.mo Crocifisso e di Sant’Antonio Abate) alla metà del XVIII secolo deve ritenersi certa, sia per il riferimento che in esse si fa all’Abate di San Paolo in carica, Gregorio Fioravanti, al quale sono “dedicate” dai “fratelli” della Confraternita, sia perché il contesto storico nel quale si inseriscono è quello stesso descritto da una cronaca manoscritta coeva ai fatti, riportata in una “Appendice documentaria” a cura di F. Santarelli in AA.VV., “Capena e il suo territorio”, Regione Lazio 1995, pagg. 209-214 – cronaca dalla quale si evince che le vicende componenti tale contesto, quali la rifondazione della predetta Confraternita e la conseguente redazione di un nuovo Statuto, la traslazione della reliquia consistente nel “Sacro Corpo di S. Felice Martire” a Leprignano e la radicale ristrutturazione della chiesa di Sant’Antonio Abate, si svolsero nella prima metà del sesto decennio del XVIII secolo, tra il 1752 e il 1755. Dal testo delle succitate “Capitolazioni” si ricava, circa la processione, che “al momento dell’incontro, il priore, i guardiani e altri membri investiti di cariche in una confraternita dovevano abbracciarsi e baciarsi con i pari grado dell’altra confraternita, così come il parroco doveva abbracciarsi e baciarsi con il cappellano di Sant’Antonio, dovendo poi, dopo l’incontro, le confraternite scambiarsi le macchine (ivi, pag. 141 e nota 22 a pag. 162).

Utile ai fini dell’inquadramento del problema concernente le origini della “Processione dell’Incontro” a Leprignano è altresì quanto è dato ricavare dalla relazione che fu scritta in seguito a un’ispezione compiuta nel 1660 dal Vescovo Marco Antonio Tomato (sulla quale v. “Spigolature capenati”, Roma 2003, pagg. 4-6 e nota n. 6 a pag. 7), che era stato incaricato come Delegato Apostolico per un’ispezione straordinaria nei luoghi delle diocesi di Ostia, Albano, Velletri e Porto, nonché in quelli (Nazzano, Civitella e Leprignano) soggetti alla giurisdizione “in spiritualibus” dell’Abate di San Paolo. Della relazione in questione deve tenersi conto sia per ciò che dice, sia per ciò che non dice. Nel paragrafo della relazione, nel quale si parla della chiesa di Santa Maria delle Grazie, si legge che “die assumptionis Beatae Mariae”, cioè nella festa dell’assunzione della Madonna, il 15 agosto, “processionaliter defertur parvula imago Beatae Virginis miraculosa in Tabella lignea depicta ibidem asservata in quadam fenestrella cum portulis ligneis laminibus ferreis indutis, et clavibus penes eosdem fratres reservatis”. A questo riferimento ad una processione che aveva luogo il giorno di Ferragosto e nella quale la confraternita che faceva riferimento alla chiesa di Santa Maria delle Grazie portava una “immagine piccoletta della Beata Vergine”, ritenuta miracolosa, dipinta su una “Tabella lignea” (=tavoletta di legno) e conservata “in quadam fenestrella”, dove il termine “fenestrella” dovrebbe indicare una “piccola apertura” nella parete, chiusa con sportelli di legno rivestiti di lamine di ferro (“cum portulis ligneis laminibus ferreis indutis”). L’esistenza di una confraternita di Santa Maria delle Grazie a Leprignano è ben attestata. In un libro relativo all’amministrazione della Compagnia della Madonna Santissima delle Grazie, in data 1° gennaio 1795 si legge (c. 16): “Essendo che fin dall’anno scorso il Signor Giovanni Bernardoni per sua particolar divozione donasse alla Venerabile Compagnia della Madonna Santissima delle Grazie una seccaticcia, e che questa ritenendosi da esso stesso per che non si confondesse colle altre sue bestie vaccine la marcasse col marchio di detta Compagnia; e dedotto tutto ciò a notizia dell’Illustrissimo Signor Vicario Generale, siasi il medesimo degnato ordinare, che il medesimo signore Bernardoni essendosi esibito ritenerla in soccita per anni cinque debba formarne l’obligo per indennità di detta Compagnia. In sequela dunque di tali ordini personalmente costituito il medesimo signor Giovanni Bernardoni qui presente promette e si obliga ritenere in soccita reale la sudetta seccaticcia da esso gratuitamente donata a detta Venerabile Compagnia chiamata Mancinella per anni cinque principiati il primo Ottobre 1794 e da terminare, e felicemente finire li 30 Settembre 1799 colli soliti patti, capitoli, e condizioni apposte nell’apoca di soccita di simili bestie vaccine fatta con il Signor Paolo Mauro Sacripanti”; nel medesimo libro si legge ancora (c. 9r) di due regali “fatti alla Madonna Santissima dalli signori Epifanio Graziosi Signore della festa delli 15 Agosto 1786 che donò scudi 10 e da Filippo Antonazzi Signore della Festa dei 15 Agosto 1787 altri scudi 10 che si ritenevano da don Benedetto Gaggini come per istromento rogato dal signor Raffaele Fioretti” (v. “Spigolature capenati”, cit., pagg. 143-144 e nota 26 a pag. 162). E’ opportuno inoltre ricordare che nella chiesa di S. Maria delle Grazie a Leprignano l’altare maggiore era dedicato all’Assunzione della Madonna (cfr. “Spigolature capenati”, cit., pag. 143; come si legge in L. Russo, “Copie, originali e quadri ospitati in Santa Maria delle Grazie”, cap. III.3.6. in AA.VV., “Capena e il suo territorio”, Regione Lazio 1995, pag. 220, “nel presbiterio, nella parete di fondo, in alto, vi è un dipinto murale raffigurante L’Assunta, ascrivibile al XIX secolo“); lo stesso edificio di culto era indicato come “chiesa della Madonna Santissima Assunta” nel testamento di Francesco Olivari, defunto il 23 gennaio 1823 a Roma all’età di 76 anni (cfr. “Spigolature capenati”, cit., pag. 145), e nella chiesa in questione un Filippo Alei aveva fondato, con testamento datato 28 agosto 1816, una cappellania sotto l’invocazione di Maria Santissima Assunta in Cielo (ivi, pag. 149).  

Tenendo conto anche di quanto non detto nella relazione del 1660 e pur nella consapevolezza dei limiti di efficacia probatoria dell’argumentum a silentio, può sinteticamente rilevarsi che in tale relazione:

  • non si fa alcuna menzione della “Processione dell’Incontro”, ma è menzionata un’altra processione, che si teneva non la sera del 14 agosto, ma il 15 agosto, e che vedeva coinvolte non la confraternita del SS.mo Sacramento e quella del SS.mo Crocifisso e di Sant’Antonio Abate, ma la sola confraternita di Santa Maria delle Grazie, essendo peraltro portata in processione solo un’icona mariana, senza alcun riferimento ad un’icona del SS.mo Salvatore;
  • non si fa menzione di macchine processionali;
  • non si fa menzione del Trittico di Antonio da Viterbo.

Si tenga inoltre presente un altro elemento, che potrebbe non essere irrilevante. E’ noto che, dopo la processione della sera del 14 agosto, le due immagini, secondo tradizione, sono riportate nella chiesa di Santa Maria delle Grazie e vi rimangono esposte; in particolare, secondo quanto riportato nell’opera di don Carlo Barbetti “Memoria storica della cappella di S. Marco Evangelista in Leprignano”, Castelnuovo di Porto 1882, pagg. 13-15, richiamata da L. Russo, op. cit., pag. 217, testo e nota 3, “rimanevano esposte notte e giorno prima nella chiesa delle Grazie e poi nella parrocchiale fino alla festa di san Bartolomeo, quando, dopo una solenne benedizione, venivano ricollocate nelle chiese di appartenenza” (la festa di San Bartolomeo Apostolo e Martire cade il 24 agosto). Al tempo della visita del Tomato, nel 1660, la chiesa di Santa Maria delle Grazie era di conformazione ben differente da quella attuale: si legge nella relazione della visita come “facies Ecclesiae tota aperta sit in forma duorum arcuum”, tanto che il visitatore apostolico dispose “circundari ligneis Cancellis cum Ianuis in medio duo arcus Ecclesiae” (negli anni immediatamente successivi alla visita del Tomato dovrebbero dunque essere stati eseguiti lavori, ai quali forse potrebbe far riferimento un mattone recante l’iscrizione D.P. 1662 rinvenuto nel corso degli interventi realizzati nella chiesa di Santa Maria delle Grazie negli anni ’90 del ‘900: cfr. E. Calabri, “La chiesa di S. Maria delle Grazie”, cap. III.3.5. in AA.VV., “Capena e il suo territorio”, Regione Lazio 1995, pag. 216, testo e nota 13).

Va precisato che “le due machine” attestate nelle sopra citate “Capitolazioni” di metà ‘700 non potevano peraltro essere quelle (ancor oggi esistenti e in uso, se chi scrive non s’inganna) la costruzione delle quali risale al XIX secolo e fu opera di Giacomo Clementi, come riportato in L. Russo, op. loc. citt., dove si cita come fonte (v. note nn. 4 e 6 a pag. 217), circa l’identità del costruttore di tali macchine processionali, l’opera di Don Carlo Barbetti “Memoria storica della cappella di S. Marco Evangelista in Leprignano”, Castelnuovo di Porto 1882, pag. 13 e pag. 19. In L. Russo, op. loc. citt., si aggiunge al riguardo: “Intorno alla metà dell’Ottocento, per facilitare il trasporto del Salvatore durante la processione, la parte centrale del trittico venne separata dagli sportelli ed inserita nel baldacchino di forme gotiche […] Anche la seconda macchina processionale, con l’immagine della Vergine, venne costruita da Giacomo Clementi con antichi intagli lignei che facevano parte dell’altar maggiore della chiesa delle Grazie”.

Resta poi aperto il problema se la “parvula imago” dipinta su “tabella lignea” e conservata nella chiesa di Santa Maria delle Grazie al tempo della visita del Tomato (1660) possa identificarsi con la nota icona mariana, che, indicata come “Vergine Avvocata” o “Madonna della Pace” (cfr. L. Russo, op. cit., pag. 217 e pag. 220), o anche come Madonna delle Grazie, a tutt’oggi è portata in processione a Capena insieme con l’icona del SS.mo Salvatore la sera del 14 e del 15 agosto, nonché la prima domenica di settembre. L’originale di tale dipinto (che L. Russo, op. cit., pag. 220, afferma essere “riferibile ad un maestro laziale operante tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento” ed essere collocato “in antico, sull’altar maggiore“), ossia di quello che ritraeva la “Vergine Avvocata” o Madonna delle Grazie, fu, com’è noto, trafugato verso la fine degli anni ’70 del ‘900 e sostituito quindi con una copia eseguita “sulla base di una vecchia fotografia a colori e di una incisione in rame risalente al 1866 conservata presso l’archivio di San Paolo” (cfr. L. Russo, op. cit., pag. 220, nota 7, e pag. 291, testo e nota 5). Fu, come ebbe a ribadire anche in una conversazione con lo scrivente, il monaco benedettino di origine capenate Don Stefano Baiocchi a pretendere che la sostituzione del quadro rubato fosse effettuata con una copia conforme all’originale, pur essendo stata avanzata la proposta di rimpiazzarlo con un dipinto di fattura che il nominato monaco, secondo il ricordo che della sua comunicazione orale ha lo scrivente, definiva “ultramoderna”.

Per quanto concerne il Trittico di Antonio da Viterbo, la cui parte centrale, raffigurante il Cristo benedicente, costituisce una delle icone trasportate nella “Processione dell’Incontro” a Capena, è, come noto, opera firmata da Antonio da Viterbo e datata 1451 o 1452 (sul Trittico, v. L. Russo, “La decorazione di S. Michele Arcangelo ed il trittico di Antonio da Viterbo”, cap. III.3.2. in AA.VV., “Capena e il suo territorio”, cit., pagg. 188-195), non essendovi peraltro, allo stato, riscontro documentale all’affermazione secondo la quale (ivi, pag. 188 e pag. 190) l’opera sarebbe stata commissionata dalla “Confraternita del Salvatore per l’antica parrocchiale di Capena”. Per quanto concerne l’altra affermazione, secondo la quale l’opera “veniva portata in processione il 15 agosto di ogni anno” (ivi, pag. 190), si osserva che, secondo quanto è dato evincere dalla più volte citata relazione concernente la visita compiuta nel 1660 dal Delegato Apostolico Marco Antonio Tomato, all’epoca nella solennità dell’Assunzione, ossia il 15 agosto, era portata in processione “parvula imago Beatae Virginis miraculosa in Tabella lignea depicta”, mentre non è menzionata alcuna icona del Cristo. Rimanendo senza fonte documentale la notizia secondo la quale il trittico di cui si tratta “ancora nei Giubilei del 1650 e del 1675 veniva portato in processione a Roma assieme alla tavola della Vergine di San Biagio a Palombara” (ivi, pag. 190, testo e nota 13, dove si osserva che non si conosce “la fonte delle notizie relative alle processioni del 1650 e del 1675” riportate in un saggio di A. Cavallaro, gli estremi del quale sono indicati a pag. 301), allo stato della ricerca una primo riferimento documentale certo alla connessione tra il Trittico di Antonio da Viterbo (risalente alla metà del ‘400) e Leprignano risale al XIX secolo: “Intorno alla metà dell’Ottocento, per agevolarne il trasporto durante la processione, la parte centrale del trittico venne separata dagli sportelli ed inserita in un baldacchino ligneo disegnato da Pietro Camporese il Giovane (Roma 1792-1873)” [ivi, pag. 190, testo e nota 14; cfr. anche ivi, pag. 217, testo e note 4 e 6; la più antica attestazione scritta allo stato nota, contenuta nell’opera datata 1882 di Don Carlo Barbetti “Memoria storica della cappella di S. Marco Evangelista in Leprignano”, è di natura bibliografica ed è indiretta, in quanto legata al riferimento a Giacomo Clementi come costruttore del baldacchino che doveva servire al trasporto processionale dell’immagine; si congettura (cfr. L. Russo, op. cit., pag. 217, testo e nota 5) che la costruzione del baldacchino sia avvenuta in un anno prossimo al 1823, poiché l’autore del disegno del baldacchino, Pietro Camporese il Giovane, dapprima elaborò, con altri architetti, “un primo progetto relativo alla riedificazione dell’abbazia dopo l’incendio del 1823 che la distrusse quasi totalmente” e poi (su questo ulteriore punto è citato, tuttavia, il fratello Giulio, e non Pietro il Giovane) “non collaborò più con i Monaci dell’Abbazia e il suo nome non compare tra quelli degli architetti presenti nel 1833 quando l’incarico di ricostruire la chiesa venne affidato a Luigi Poletti (Modena 1792-1869)”]. Ancora nel 1913 e nel 1923 l’icona del SS. Salvatore si trovava nella chiesa di S. Maria delle Grazie, nel 1927 era nella chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo e a partire dal 1936 fu proibito il trasporto dell’originale nella processione, sicché il Parroco Don Francesco Mirra “espresse l’intenzione di far eseguire una copia dell’antica icona per portarla in processione senza dover creare ulteriori danni alla tavola originaria”, che fu restaurata nel 1936 e nuovamente nel 1962-’63 (cfr. L. Russo, op. cit., pagg. 190-191, testo e note nn. 15-16-17-18).    

Sappiamo dunque che alla metà del XVIII secolo la “Processione dell’Incontro” era a Leprignano una “antica consuetudine”: quanto, però, “antica”? Si è visto che non ve n’è traccia nel testo della relazione scritta in occasione della visita compiuta nel 1660 da un Delegato Apostolico – relazione nella quale si menziona una processione con ben diverse caratteristiche, quanto a data (15 agosto e non 14), icone (solo un’icona mariana) e confraternite coinvolte (solo una confraternita, intitolata a Santa Maria delle Grazie). In realtà, l’aggettivo “antica” potrebbe designare anche un passato che risale a circa tre generazioni prima – tempo sufficiente al cancellarsi di gran parte delle notizie trasmesse per via di tradizione orale, allora strumento principe di trasmissione delle informazioni, e al prodursi, quindi, dell’impressione di una lontananza temporale indefinita, di una “antichità”.   

Un altro punto sul quale è opportuno interrogarsi per trovare possibili spunti di risposta al quesito delle origini è il seguente: la “Processione dell’Incontro” a Capena quale oggi, e da molto tempo, la conosciamo, e quale già è descritta nelle “Capitolazioni” della Confraternita del SS.mo Crocifisso e di Sant’Antonio Abate risalenti alla metà circa del XVIII secolo, ha affinità con processioni che si svolgono in altri luoghi, e, se sì, con quali?

Un primo indirizzo della ricerca può essere dato dalle informazioni riportate nell’opera di Giovanni Marangoni, edita a Roma nel 1747, “Istoria dell’antichissimo Oratorio, o Cappella di San Lorenzo nel Patriarchìo Lateranense comunemente appellato Sancta Sanctorum e della Celebre Immagine del SS. Salvatore detta Acheropita, che ivi conservasi; colle notizie del culto, e varj riti praticati anticamente verso la medesima: come anche dell’origine, ed uso di tal sorta d’immagini venerate nella Cattolica Chiesa raccolte da Monumenti antichi, e specialmente dall’Archivio della Nobile Compagnia, che ne ha la Custodia”, in particolare nel capitolo ventiseiesimo, intitolato “Come la Processione annua, coll’Immagine del SS. Salvatore, nella vigilia dell’Assunta della B. Vergine, fu proibita dal Pontefice S. Pio V. E come di essa, in alcune Città, e Terre, ve ne sia rimasta la memoria, col farsi somiglianti Processioni, con altre simili Immagini del Salvatore”.

Alcune premesse storiche sono opportune (fonte: Filippo Caraffa, “La processione del SS. Salvatore a Roma e nel Lazio nella notte dell’Assunta”, in “Lunario Romano 1976 – Feste e cerimonie nella tradizione romana e laziale”, a cura del Gruppo Culturale di Roma e del Lazio, pagg. 127-151). Sergio I, che fu Pontefice dal 687 al 701, stabilì che in occasione delle quattro festività della Beata Vergine Maria (Natività, Presentazione, Annunciazione e Dormizione – quest’ultima in seguito denominata dell’Assunzione) si facesse (in Roma) una processione che partiva dalla chiesa di S. Adriano (si tratta della chiesa sul Foro Romano che Onorio I, Papa dal 625 al 638, aveva dedicato a un soldato romano che portava quel nome e che era morto martire nel 290 a Nicomedia durante le persecuzioni volute dall’imperatore Massimiano) e terminava nella basilica di Santa Maria Maggiore. Sotto il pontificato di Adriano I (772-795) la festa della Dormizione riceve, per la prima volta in Occidente, il titolo di “Assunzione di S. Maria”, come appare dal Sacramentario che il suddetto Papa inviò a Carlo Magno tra il 784 e il 791. Queste feste provenivano dall’Oriente e da Roma si diffusero nell’Occidente. Avevano luogo la mattina prima della messa, salvo quella dell’Assunta, che aveva luogo nella notte del 14-15 agosto e che ben presto superò per importanza le altre feste mariane. Nella processione romana (della Dormizione, detta poi dell’Assunzione già a partire dall’VIII secolo) della notte del 14 agosto era portata l’immagine “Acheropita” (=non dipinta da mano d’uomo). La prima testimonianza dell’esistenza dell’immagine “Acheropita” risale al pontificato di Stefano II (752-757), allorché il Papa, per allontanare il pericolo dell’invasione dell’Urbe da parte del re longobardo Astolfo, portò in processione nel 753 la sacra icona sulle sue spalle. L’immagine “Acheropita” ritrae il Salvatore (Cristo) che con la mano sinistra tiene il rotolo della Legge e con la destra benedice. Si è ipotizzato che essa sia di origine romana e che sia stata realizzata tra il 450 e il 550. Proprio la connessione della processione romana nella notte tra il 14 e il 15 agosto con l’immagine “Acheropita” ha probabilmente contribuito alla crescita d’importanza della festa dell’Assunzione: Niccolò I, a metà del secolo IX, già metteva l’Assunzione alla pari con Natale, Pasqua e Pentecoste. La più antica notizia relativa al fatto che l’immagine “Acheropita”, custodita nella cappella del “Sancta Sanctorum” nel Patriarchìo Lateranense, era portata in processione nella notte tra il 14 e il 15 agosto si ha in relazione al pontificato di Leone IV (847-855). Già al tempo di questo Pontefice, l’immagine in questione era, nella notte tra il 14 e il 15 agosto, portata alla chiesa di S. Adriano nel Foro Romano, vale a dire l’antica Curia del Senato Romano, trasformata in chiesa, e quindi a Santa Maria Maggiore, passando per San Lucia in Orfeo. La processione romana fece questa strada fino alla sua soppressione, al tempo di Pio V (1566-1572).

Processioni simili continuarono tuttavia a svolgersi in comuni del Lazio.

Con riguardo ad Anagni, scrive il Marangoni (op. cit., pag. 142) a proposito di “una antica Immagine del SS. Salvatore dipinta in  tavola”, conservata nella Collegiata di S. Andrea in Anagni (ivi, pag. 140): “Questa devotissima Tavola, col suo tabernacolo, da immemorabile tempo, suole, ogn’anno, nella vigilia dell’Assunta della B.V. con maestosissima pompa, portarsi in Processione dalla predetta Chiesa di S. Andrea fino alla Cattedrale dedicata alla B.V. […] e giunta ch’ella è nella Cattedrale, ivi, nel mezzo sopra ben ornata machina, si espone con copia di lumi di cera alla pubblica divozione, rimanendovi per lo spazio di nove giorni: indi colla medesima pompa riportasi alla sua prima sede nella Festa di S. Bartolomeo Apostolo, e di nuovo si colloca sul proprio Altare”.

Con riguardo a Tivoli, scrive il Marangoni (ivi, pagg. 143-144): “Nella Chiesa Cattedrale di Tivoli, con somma venerazione, si conserva un’antichissima Tavola coll’Immagine del Salvatore […] Questa Sagra Immagine, per tanto che, ogn’anno, da tempo Immemorabile, sontuosamente adornata, con broccati d’oro, e velluto, suole portarsi in Processione alla Chiesa di S. Maria Maggiore de Minori Osservanti di S. Francesco, nella vigilia dell’Assunta della B.V., in cui v’ha quella della stessa Madre di Dio […] E giunta, ch’ella è su quella gran piazza, quivi si posa nel mezzo, e fra tanto dalla medesima Chiesa esce incontro a quella del Salvatore la Sagra Icona della B.V., e gionta in vicinanza vengono piegate in atto di salutarsi l’una l’altra: indi ambedue s’introducono nella medesima Chiesa, e si lasciano esposte alla Divozione del Popolo”, quindi, il giorno successivo, dopo una solenne funzione, l’Immagine del SS. Salvatore viene ricondotta nella Cattedrale.

Con riguardo a Subiaco, scrive il Marangoni (ivi, pagg. 145-147): “[…] nella chiesa di S. Andrea è un Altare dedicato al SS. Salvatore, con un’antica Tavola, coll’Immagine del medesimo Salvatore […] In oltre in questa Chiesa di S. Maria della Valle serbasi, con eguale venerazione, un’altra immagine  della SS. Vergine, in atto di ascendere al Cielo […] Per la custodia di ambedue queste Immagini è deputata un’antica Confraternita, detta ne secoli scorsi, della Madonna […] nelle sue Regole rinovate l’anno 1540 (poiché le più antiche rimasero perdute nell’Incendio di Subiaco nel 1525) in due Capi separati si ordina, che debbano portarsi le predette Immagini in Processione, secondo l’antico costume […] la maggior parte della Compagnia va a prendere il SS. Salvatore nella Chiesa di S. Andrea, di dove processionalmente dal Clero, e Fratelli viene condotta alla Piazza della Valle: e nello stesso tempo l’Arciprete col Clero, e col rimanente della Compagnia, in simile maniera, partesi dalla Chiesa di S. Maria, verso la stessa Piazza […] e frattanto le due Sagre Immagini […] giunte, che sono l’una in prospetto all’altra, dopo terminata la melodia del canto, e datosi il segno dall’Arciprete, sono portate più da vicino come piegate, in segno di salutarsi, e ciò si fa tre volte, distintamente, mentre più si avvicinano […] Indi, riordinatasi la Processione, con tutto il Corteggio sopra narrato, ambedue le Sagre Immagini sono portate alla Chiesa di Santa Maria, e collocate che sono nel mezzo di essa, si canta il Vespro, ed ivi rimangono sino al giorno seguente, nel quale, collo stesso ordine, ed accompagnamento (toltone i Regolari) ambedue si trasferiscono nella Chiesa di S. Andrea, ed ivi stanno esposte sino alla mattina seguente; e dopo la Messa cantata, collo stesso ordine, e accompagnamento si estraggono nella prossima piazza di S. Andrea, ed ivi esposte l’una in prospetto dell’altra, dopo l’Inno, e dato il segno dall’Arciprete, si fa nuovamente con triplice saluto riverenziale, la stessa Funzione già fatta nella piazza della Valle, implorandosi da tutto il popolo nuovamente misericordia. Poscia l’Immagine del Salvatore si espone in S. Andrea, ed ivi rimane scoperta sino alli 25 del mese, Festa di S. Bartolomeo Apostolo, con Littanie cantate ogni sera. Quella poi della Vergine Santissima si riporta processionalmente da tutto il Clero, e Magistrato, ed altri, come nel giorno antecedente, alla Chiesa di S. Maria, ed ivi esposta rimane sino alla stessa festa di S. Bartolomeo, ed ogni sera vi si cantano le Littanie con qualche discorso in lode della medesima B.V. […]”.

Per Tivoli e Subiaco si parla di “processione dell’Inchinata”, come anche per Cervara di Roma, dove due processioni partono contemporaneamente, una dalla chiesa di S. Maria della Visitazione, l’altra da quella di Santa Maria della Portella, per incontrarsi in una piazzetta situata nel cuore del paese dove la Madonna si inchina dinanzi al Salvatore.

Spesso, nei comuni del Lazio, vi è una processione dell’Assunta, senza incontro tra icone.

La processione capenate mostra, salvo che per la collocazione temporale (Ferragosto), una forte analogia con processioni pasquali, dette appunto dell’Incontro, che hanno luogo nell’ex Regno di Napoli, soprattutto con alcune che si svolgono in Sicilia. Dalla voce “Incontro di Pasqua” dell’enciclopedia online Wikipedia: “L’incontro di Pasqua, diffuso non solo in Abruzzo ma anche in buona parte del Sud Italia e delle isole, rappresenta il festoso incontro tra il Cristo risorto e la Madonna ancora incredula della Resurrezione il giorno di Pasqua, verso mezzogiorno. La parte principale consiste nella corsa della statua della Madonna verso il Cristo risorto (a volte le due statue corrono una verso l’altra per incontrarsi al centro della piazza)”. Di fatto, a Capena è avvenuta una fusione tra elementi propri delle processioni ferragostane dette dell’“Inchinata”, che si ritrovano nel Lazio, e processioni pasquali dette dell’“Incontro”, diffuse in comuni dell’ex Regno di Napoli, anche, se non soprattutto, in Sicilia, nelle quali, in particolare, si ritrova quell’elemento della corsa, che costituisce, in ambito laziale, una particolarità della processione capenate. Le processioni meridionali possono essere comunque molto più elaborate. Un inquadramento generale da http://www.strettoweb.com/foto/2018/04/pasqua-sicilia-foto/390992/: “Tanti e variegati sono i riti della giornata di Pasqua in Sicilia. Cosi come in Calabria con la celebre “affruntata”, anche in Sicilia si celebrano i riti dell’incontro tra Cristo Risorto e la Madonna. La processione dell”Incontro”, U Scontru” a Cassaro, u ‘ncontru a Ribera, “u ‘Ncuontru a Petralia Sottana, “a Giunta” a Aidone, “a Junta” a Caltagirone, “a Paci” a Biancavilla e  Comiso, inizia generalmente molto presto la mattina di Pasqua con la statua della Madonna che “vaga” alla ricerca di Gesù […]  Tra gli “incontri” più tradizionali (vi è) quello di Barrafranca, nell’ennese: intorno a mezzogiorno avviene il tradizionale Incontro tra Maria e Gesù Risorto, popolarmente detto “La Giunta” . La tradizione popolare vuole che la Madonna inviti gli apostoli alla ricerca del figlio e San Pietro e San Tommaso portano la buona notizia a Maria che si spoglia del manto nero. Gli Apostoli, detti “Santuna” , sono undici giganteschi pupazzi in cartapesta, rivestiti con abiti di stoffa, all’ interno di ognuno dei quali vi è una persona. Il Cristo Risorto, con alcuni apostoli, esce di mattina dalla Chiesa di S. Maria la Stella e gira per le vie della città. Dopo la S. Messa di mezzogiorno, esce la Madonna. I due gruppi di simulacri si ritrovano presso la piazza Fratelli Messina dove ha luogo la sacra rappresentazione dell’Incontro. I simulacri si portano in due parti opposte della piazza: da un lato Cristo Risorto e dall’ altro Maria e gli apostoli. Al rullo dei tamburi Maria invia Pietro a cercare il Cristo, il quale correndo per tre volte tra la folla, lo cerca in direzioni diverse e non lo trova se non alla fine, quindi corre a dare l’ annunzio a Maria che però lo rimanda altre due volte per accertarsi ulteriormente. Lo stesso si ripete per San Giovanni che corre con passo svelto, poi è la volta di San Tommaso . Quindi seguono tutti gli altri apostoli che fanno i tre viaggi rituali. Alla fine la Madre e il Figlio Risorto corrono l’una verso l’altro”. A Misilmeri (PA): “Intorno le ore 11 si riempie per incanto fino all’inverosimile tutta la grande piazza principale del Paese dove dovrà avvenire «L’Incontro ». Le grandi gradinate della Chiesa Madre e del Municipio come in un proscenio si riempiono di gente specialmente di donne e bambine che fanno sfoggio delle loro vesti multicolori, per la prima comparsa della moda primaverile. Lentamente esce allora dalla Chiesa di S.Rosalia detta anche di S. Paolino il Cristo Risorto a viso scoperto montato sulla sua leggerissima e bassissima vara tra i suoi quattro mazzuni di fiori, accompagnato dall’Arciprete e parte del Clero con i chierichetti nonché il Consiglio e parte dei confrati della Confraternita del SS.mo Sacramento (che cura i riti della Settimana Santa di Misilmeri). Intanto si comincia a snodare l’altra processione della Madonna coperta da un velo nero sul volto, montata pure su una vara identica con altri quattro mazzuna che sta uscendo dalla Chiesa del Collegio di Maria col resto del clero e confrati, entrambe le processioni sono procedute dal rullo inteso dei tamburi. Quando le due Immagini sono a vista nella piazza accelerando a poco a poco il loro movimento, finalmente finiscono in una impetuosa corsa ad incontrarsi nel bel mezzo della piazza fra la commozione e la felicità degli spettatori. Di qui è venuta la parola classica dell’ Incontro” (fonte: https://pasqualions.wordpress.com/le-tradizioni-nelle-citta-siciliane/misilmeri-pa-lincontro-di-pasqua/).

E’ evidente che la “Processione dell’Incontro” capenate è una sacra rappresentazione che meglio s’inquadrerebbe in uno scenario pasquale: la Madre in cerca del Figlio defunto e scomparso, che, dopo la Resurrezione, va anzitutto a far visita alla Madre, finché i due, ritrovatisi, si corrono l’uno incontro all’altra. Questo è lo spirito delle “Processioni dell’Incontro” siciliane. Molto più tirata è un’interpretazione dell’incontro tra Madre e Figlio come evento che accade in Cielo dopo l’Assunzione della prima.

Nella seconda metà del ‘600 a Leprignano, per un cospicuo periodo di tempo, esercitarono il proprio ministero due sacerdoti di origine siciliana: uno, Don Antonino Mancuso, nativo di Capizzi (ME), fu Parroco per circa un quarto di secolo fino al 1679 (gli successe il civitellese Don Marco Grimaldi); l’altro, Don Placido Castiglione, era nativo di Bronte (CT) e dal suo testamento, datato 23 maggio 1686 e versato negli atti di un notaio morlupese, apprendiamo che  era “cappellanus seu prebendarius Ecclesiae Divi Antonii et Divae Marthae” in Leprignano: il testatore, con la sua disposizione di ultima volontà, condonava i debiti che verso di lui aveva contratto la Confraternita del Santissimo Crocifisso in relazione alle messe da lui celebrate per detta confraternita; si diceva quindi creditore del fu Cesare Tubili per messe celebrate per un periodo di tre anni al ritmo di due la settimana, una nella chiesa di Santa Maria degli Angeli e l’altra nella chiesa di Santa Maria (delle Grazie), avendo ricevuto solo quattro dei trenta scudi che gli sarebbero spettati per le messe da lui celebrate per conto del Tubili. Si aggiunga che nel paese nativo del sacerdote siciliano che nella seconda metà del ‘600 fu per un quarto di secolo parroco a Leprignano, cioè a Capizzi, vi è una processione, quella del locale Santo Patrono, Giacomo Maggiore, caratterizzata dall’elemento della corsa, in forma anche particolarmente accentuata.

Si può quindi ipotizzare che la “Processione dell’Incontro” a Leprignano abbia preso il posto di una precedente “Processione dell’Assunta”, ancora attestata nel 1660 dalla succitata relazione del Delegato Apostolico Tomato, e che il termine post quem di tale trasformazione sia dato appunto dalla “visita” che fu compiuta dal Tomato, mentre il termine ante quem potrebbe essere l’ultimo anno in cui fu parroco Don Antonino Mancuso (1679), cosicché la “Processione dell’Incontro” poteva essere già definita “antica consuetudine” alla metà del ‘700 nelle “Capitolazioni” della Confraternita di Sant’Antonio Abate. Il mutamento potrebbe essere avvenuto sotto l’influsso di qualche manifestazione di devozione popolare siciliana conosciuta da uno dei due sacerdoti siciliani che per molto tempo esercitarono in quel periodo il proprio ministero a Leprignano. Si noti che il Castiglione era cappellano della Confraternita del SS.mo Crocifisso, cioè di una delle confraternite coinvolte nella “Processione dell’Incontro” – confraternita alla quale, nel suo testamento, come sopra si è visto, condonò il debito legato alle messe che per essa celebrò. La nuova processione, prendendo il posto di quella ricordata nella relazione scritta dal Delegato Apostolico Tomato per la sua visita nel 1660, mantenne il dato della contiguità cronologica con la commemorazione dell’Assunzione, pur conservando caratteristiche, di tipo “pasquale”, proprie del modello siciliano che, tramite uno dei due predetti sacerdoti o entrambi, può aver influenzato la “Processione dell’Incontro” capenate.  

Un’ultima osservazione va fatta al riguardo. E’ comunque da escludersi che un’innovazione, come fu l’introduzione della “Processione dell’Incontro” nel panorama di Leprignano, possa essere sorta semplicemente per la “bella pensata” di qualche singolo o di un gruppetto di persone del posto, anche se ispirato da quanto visto o saputo su ciò che altrove si faceva. Un mutamento di tale portata, nel quadro di una piccola comunità di qualche secolo fa, presuppone un impulso “esogeno” rispetto ai “paesani”, che poté provenire appunto dall’autorità ecclesiastica locale. Si ricordi, ad esempio, che, per arrivare a tempi più recenti, il Vendemmiale fu introdotto a Leprignano da un Podestà “forestiero” (Ramoni) e che cospicuo, comunque, fu in più occasioni il ruolo di “forestieri” in vicende rilevanti della storia locale (un avvocato di Rocca Sinibalda, Francesco Marotti, fu in prima fila nel promuovere la controversia con il Monastero di San Paolo sui catasti in base ai quali i Monaci pretendevano il pagamento di canoni da molti Leprignanesi, in esito alla quale la Sacra Rota si pronunciò nel 1779 dichiarando l’invalidità di quei catasti). Troviamo una impressionante testimonianza degli ostacoli, che il conservatorismo proprio di ambienti chiusi quali erano le comunità paesane di qualche secolo fa opponeva a qualsiasi innovazione, proprio nella cronaca, coeva ai fatti, delle vicende che alla metà del ‘700 portarono alla rifondazione della Confraternita del SS.mo Crocifisso e di Sant’Antonio Abate e alla ristrutturazione della chiesa di Sant’Antonio Abate (cfr. “Appendice documentaria” a cura di F. Santarelli in AA.VV., “Capena e il suo territorio”, Regione Lazio 1995, pagg. 209-214). Si partì da lamentele di gente del posto circa lo stato deplorevole in cui versava la chiesa, ma quando si arrivò al dunque sorsero puntuali le opposizioni: allorché il nuovo Statuto della Confraternita fu letto pubblicamente dal Parroco “all’università de fratelli, principiorno manifestamente a ripudiare le nove leggi come molte di queste gravose alla povertà, e seguìti da molti malcontenti, si tumultono non poco per la lacerazione de statuti esclamandosi da alcuni doversi lasciar la Compagnia nello stato nel quale al presente si trovava senza innovazione” (ivi, pag. 210) e solo con l’intervento energico dell’Abate (“incoragiti dalla presenza auttorità, e zelo del Prencipe”), per “aquietar anche la Plebbe, quale, come è solito ne Popoli, narrava pubblicamente molte ideate constituzioni inferte ne novi statuti che non poco poteveno turbare l’animi anche de più senzati”, alfine furono le nuove “constitutioni” della Confraternita “a communi voti senza punto d’opposizione con applauso nemine dissenziente ricevuto” (ibidem), e addirittura, pur dopo questa approvazione unanime, non si estinsero “in tutto nel Animi de meno intelligenti i sospetti anzi che molti di essi credevono esser stati pregiudicati con le nove costituzioni”, arrivandosi addirittura a sospettare “non essere vere molte indulgenze pubblicate per detta Confraternita” e alcuni “pubblicamente” asserendo “che dalle elemosine sì raccolte come da raccogliersi, si sarebbero approfittati molti in loro vantaggio; e che la Confraternita era prima di tal indicazione assai meglio regolata da gente inesperta e ignorante de loro obblighi, di quello sia dopo la riforma. Non mancava chi tentasse di degradare non solo dal officio il novo Priore, ma anche di mandarlo fuori della confraternita” (ibidem). Questo vivido ritratto dell’ambiente chiuso, sospettoso e maldicente di un piccolo paese in un contesto di innovazioni convince della necessità che queste, per realizzarsi, dovessero essere portate energicamente avanti, se non anche anzitutto promosse, da soggetto non autoctono e ovviamente dotato di autorità.

 

    

 

Questa voce è stata pubblicata in Uncategorized. Contrassegna il permalink.

Una risposta a CAPENA: UNA PISTA SICILIANA PER LE ORIGINI DELLA PROCESSIONE DELL’INCONTRO

  1. Pingback: La Processione dell'Incontro di Capena, studio di Loredana Carratoni -

Lascia un commento